L’esperienza della scorsa settimana, a tu per tu con un bosco pieno di cervi, non è stata sufficiente. Non poteva mai esserlo, anzi, ha riattivato in un attimo tutta la voglia di rimetterci in cammino sulle nostre montagne. Ci vollero pochi giorni prima che decidessimo che destinazione prendere il fine settimana successivo.
La scia emotiva ci fece optare, senza dover neanche discuterne oltre misura, per il giro ad anello che da Civitella Alfedena risale al rifugio Forca Resuni, tra le cime del monte Petroso ed il monte Capraro, per poi immergersi nella faggeta della Valle Iannanghera. Un anello di circa 15 chilometri per un migliaio di metri di dislivello positivo con sentiero misto ma ben tracciato, in cui non è difficile riuscire ad osservare i camosci tipici del Parco.
La solita sveglia all’alba e poi in strada fino alle terre di frontiera del Pnalm, sul Lago di Barrea. Intorno a noi la vegetazione inizia a mutare pelle, indossa i colori caldi dell’autunno e dona all’atmosfera un sapore magico. Questo anello è per noi un anello magico, perché legato alla nostra prima escursione insieme di 5 anni fa. Un anello che ha il potere di raccontarci la strada che abbiamo fatto, ogni volta che ci ritroviamo a risalirla. Ci dice chi siamo, dove stiamo andando e misura con la fatica il nostro spirito per ricordarci che la montagna è così, dà soddisfazione al cuore e al cervello, pretendendo ogni sforzo necessario dal nostro corpo e dalla nostra volontà.
Iniziamo il nostro cammino affrontando la lunga salita che conduce nel bosco. Alcune guide escursionistiche accompagnano dei gruppi medio piccoli lungo il nostro sentiero che condividiamo per un breve tratto prima di staccarli mentre il sentiero prosegue sbucando per un attimo dalle fronde d’alberi per poi risalire nuovamente all’interno. In questi periodi di Ottobre, salendo di poche centinaia di metri di quota, è possibile avvertire il cambio di temperatura che caratterizza l’autunno. Qualunque essere all’interno del bosco muta e nelle metamorfosi delle stagioni anche gli animali avvertono il cambiamento. Ce ne dà prova una vipera, ferma su una roccetta al sole, che alla prima avvisaglia del nostro arrivo, si dà alla fuga spaesata verso l’interno del bosco.
Usciti dalla faggeta, finalmente, si apre davanti a noi l’alto passo Cavuto del monte Boccanera. È a qualche ora di cammino, verticale e lontano. L’enorme parete rocciosa alla nostra sinistra si staglia sugli sfascioni in roccia che, come un orologio, segnano il tempo passato. Alla nostra destra si impone lo Sterpi d’Alto. Camminiamo senza aver mai interrotto la salita, e fermandoci di tanto in tanto solo per buttare giù delle ampie sorsate d’acqua.
A circa 10 minuti dal Passo siamo ancora in forma e non arrestiamo, né desistiamo, ma lasciamo crescere e divampare la curiosità di tornare a vedere ciò che c’è oltre. Il bisogno di esplorare appartiene agli angoli più remoti del nostro spirito, figli quali siamo di uomini e donne pionieri di un mondo che andava esplorato in ogni dove. Non tutti riescono a seguire il richiamo delle foreste. Tutti quelli che decidono di seguirlo non possono farne a meno.
Svalicato il Boccanera ci ritroviamo nuovamente davanti allo spettacolo offerto dall’anfiteatro della catena del Petroso che segna i confini dell’alta valle Iannanghera. In ogni stagione questa finestra sul Pnalm offre spunti meravigliosi e pretende da chiunque un momento di silenzio. Una manciata di minuti. Poi è di nuovo la strada ad aprirsi dinanzi a noi. In meno di un’ora di cammino infatti, si presenta a noi il Forca Resuni, nella forma tipica dei rifugi d’alta quota.
Ne approfittiamo per uno spuntino veloce prima di riprendere il lungo sentiero che scivola come un serpente nel fitto del bosco. Da qui, il bramito dei cervi continua a risuonare. Ha un eco forte e man mano che ci addentriamo nel fitto della faggeta, appare sempre più vicino a noi, tanto da indurci a rallentare il passo, cercando di creare il minimo rumore possibile nella speranza di ritrovarci difronte un cervo nobile. La sorte invece ci regalerà solo un avvistamento repentino di un esemplare in lontananza su un crinale alla nostra sinistra.
Continuiamo ad avanzare a passo spedito cercando di allontanarci quanto prima dalla restante parte di bosco, in fuga dal maltempo in arrivo. Le prime gocce portano una ventata di profumi nostalgici, di terra umida, legna e vegetazione. Si chiama petracore, ed è legato in corda doppia al Wanderlust, al bisogno fisiologico di toccare con mano l’avventura.
Arrivati alla macchina giusto in tempo, montiamo su e torniamo a casa, mentre all’esterno, un temporale investe tutte le montagne dell’arco appenninico appena superate.