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Iniziò tutto giovedì sera, con quell’insana euforia che ci prende nel momento in cui guardiamo la carta dei sentieri e puntiamo il dito per scegliere una meta. La frenesia di un check ai siti meteo, ai bollettini neve e alle web cam dislocate nei territori per conoscere lo stato di salute dei sentieri individuati. Il tutto dura sempre un attimo. Un attimo che pervade e stimola i sensi. Il tempo rallenta e la mente già è lì a calpestare il suolo, volando tra le nuvole della fantasia.

Ogni progetto è un sogno. Ogni sogno una strada.

L’indomani partimmo verso il Parco del Matese a tarda ora. Alcuni impegni all’alba ci costrinsero di fatto a muoverci con orari differenti che tuttavia non avrebbero messo a rischio il completamento del nostro anello. Dopo aver verificato tutte le condizioni decidemmo infatti di percorrere un percorso che, partendo dall’Ecocampus di Monte Orso ci avrebbe condotti in cima alla Gallinola, a 1921 mt sul mare, e da lì poi saremmo discesi, intercettando il sentiero che dal Monte Porco aggira la provinciale per poi ricondurci allo stesso Ecocampus.

Le festività natalizie avevano lasciato dei grandi accumuli di grasso e il vino bevuto poneva una dura sfida alle nostre gambe, sebbene il sentiero non presentasse grandi difficoltà, anche a causa delle scarsissime nevicate di un inverno anomalo. Il freddo delle prime ore del giorno era svanito lasciando spazio al calore dei raggi del sole, mentre l’assenza di vento rendeva il tutto piacevole, costringendoci più volte ad eliminare strati d’abbigliamento da dosso.

Come sempre appropriammo al sentiero con passo spedito, raggiungendo in una manciata di minuti la Capanna Sociale Monte Orso a gestione del Cai di Piedimonte Matese. La stessa che più volte ci aveva ospitato nel cuore delle gelide notti sui Monti del Matese. Superato il rifugio, procedemmo oltre verso il grande pianoro carsico del Pianellone, ancora gelato, dove le impronte di lupi, caprioli e tanta altra fauna del bosco contribuiva a rendere tutto più selvaggio.

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Attraversato il Pianellone sbucammo sulla cresta panoramica che offriva uno splendido affaccio sul lago Matese. Fu qui che il mio affanno si fece più insistente, costringendomi ad uno sforzo di fatica che non avrei potuto considerare e che mi distanziò a lungo dal gruppo diretto alla vetta. Potevo intravederli nella rete di faggi che si intrecciavano dinanzi a me, mentre il sentiero, tra neve e roccette, si inerpicava verso il Piano della Corte, altro ampio pianoro che si poneva tra noi e la cima della Gallinola.

Ricordo la fatica di quel mattino, resa ancor più vivida dalla speranza di incappare in tratti di neve gelata che avrebbero dato uno stimolo differente alla lunga salita che stavamo scalando. Se dovessi dare una spiegazione pratica della fatica che si può vivere in montagna, a tu per tu con un sentiero sempre in salita, la immaginerei come il desiderio continuo, e progressivamente più forte, di scoprire cosa si celi oltre il mio orizzonte che, una volta raggiunto, esplode in un concerto di emozioni. Proprio come il dissolversi, di quella sofferenza, quando con mano si tocca l’apice della salita.

Al Piano della Corte, il panorama primaverile che si apriva noi ebbe un aspetto malinconico. Pendii senza neve, spazi ampi e aperti senza ghiaccio, una vetta scoperta dalle nubi. Nulla a che vedere con l’inverno delle quote più alte in pieno Gennaio. Questo pazzo mondo al collasso sta decimando i nostri bisogni di esplorazione, il nostro gusto per l’avventura. Se non ci sforziamo con tutta l’energia per compiere il nostro dovere, chissà gli anni a venire cosa avranno in serbo.

Gli ultimi tratti di risalita li facemmo in un canalino che quella mattina desideravamo chiudere con picca e ramponi, ed invece ci ritrovammo pochi accumuli di neve ormai disciolta. Questo rendeva quanto meno più gustosa la strada per quella vetta matesina. Vetta che finalmente raggiungendo dopo circa 3 ore di cammino dall’imbocco del sentiero. La Gallinola è la cima del Matese che sentiamo nostra, sempre pronta ad accoglierci e ad offrirci soprattutto scenari sfavillanti, con tutte le più alte cime degli Appennini italiano lì dinanzi a noi.

Si poteva respirare un aria buona che allontanava ogni affanno e rimetteva in armonia il cuore, il suo battito, i pensieri, le gambe. Godemmo così di quel momento, arricchendo il tutto con una tagliata di salumi e formaggi matesini. E’ davvero inspiegabile la gamma di sensazioni da poter vivere quando si è così in alto, mentre da lontano tutto appare misero ed insignificante. Esiste solo il bello nella vita, ma dovremmo imparare a trovare le formule migliori per rilegare il brutto nel cosmo del misero e della mancanza di significato.

Prendemmo lo stesso canalino per iniziare la nostra discesa e tornare a valle, intercettando lungo la provinciale una nuova pista che ci avrebbe condotto alle auto. Fu una passeggiata rigenerante, capace di dissipare tutta la fatica della salita, lasciandoci addosso un senso di benessere che alimentammo una volta giù con tutta la birra che riuscimmo a goderci.

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