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Finalmente. Finalmente questa sveglia è tornata a suonare, di domenica mattina, quando fuori è ancora tutto scuro. Avvolto nelle ombre morbide della notte. L’arrivo di ottobre, con il caldo torrido che si allontana, e i colori dell’autunno che iniziano a rivestire i boschi, ha sempre un sapore magico. Un ricordo che torna, accompagnato dalla necessità di tornare a camminare insieme e a lungo tra la natura delle nostre montagne.

Diciamolo senza problemi. Ad ottobre noi Hikers ritroviamo un bisogno comune che possiamo consolare soltanto ritornando al trekking. La montagna, del resto, ha una sua filosofia ben precisa, e richiede energia ed impegno. Sali e ti sacrifichi, scendi e imprechi per le ginocchia che ancora devono ritrovare il giusto ritmo, sei in vetta e ne godi, scendi e ti senti euforico. Dall’osservazione di un bosco in quota sopra i duemila ai vasti spazi che ci si aprono davanti, tra dislivelli e sudore, è un continuo sbilanciarsi dalle bestemmie agli inni di gloria.

Questa volta al suono della sveglia non si può più indugiare. Occorre anzi muoversi e darsi da fare, perché sebbene il viaggio non sia lungo, la meta da raggiungere già chiama. Questa volta torniamo in Abruzzo senza dover cazzeggiare. Oggi c’è solo da camminare.

Caricate Le Marì in auto ci avviamo in direzione Alfedena, che presto raggiungiamo approfittandone per fare scorte alimentari. Da lì, proseguendo in direzione Barrea, ci fermiamo alle porte del borgo lasciando l’auto nei pressi di una piazzola di sosta, prendendo nei pressi l’imbocco del sentiero che risale in direzione del Lago Vivo.

La vegetazione, in questi mesi dell’anno subisce una metamorfosi profonda, paragonabile solo alla fioritura primaverile. Un velo di colori caldi, dal rosso all’arancio, sino al giallo, riveste l’enorme faggeta che attraversiamo sul sentiero di breccia e sassi. Raggiungiamo così, in breve tempo, la valle dove del lago non resta che una chiazza scura sull’enorme pratone chiuso dall’anfiteatro dei monti Tartaro, Altare e Capraro. Cattedrali di roccia calcarea che si stagliano sulla valle come guardiani, macchiati da chiazze di vegetazione residua e bruciata dal sole.

Giusto il tempo di una boccata d’aria e riscendiamo all’interno del vallone per far la scorta d’acqua sorgiva nelle borracce alla Fontana degli Uccelli, ancora possibile sebbene non resti che un rivolo d’acqua, e via nuovamente all’interno del bosco per raggiungere la sommità del crinale imboccato, sperando di riuscire ad osservare e fotografare qualche cervo in amore. I bramiti ingrifati degli esemplari maschi, infatti, fanno eco nel bosco, dando un’aria esotica all’atmosfera, caratterizzata dal verso dei capibranco in calore. Alle volte ricordano muggiti di vacche al pascolo, altre volte invece, il verso di animali lontani anni luce da queste terre.

Attraversiamo una valle più piccola, ricarichiamo il peso sulle gambe per svalicare altrove e da lì, in una posizione più alta rispetto alla precedente restiamo incantati ad ascoltare i richiami di un numero indeterminabile di cervi in amore finché, ad un tratto, uno di essi spunta dal bosco mostrandosi a noi e alla meraviglia di quel momento.

Senza indugiare oltre proseguiamo il nostro cammino, giungendo così nella Valle Lunga, dalla quale un panorama ampio e selvaggio si ripresenta a noi. L’effetto che genera uno spazio immenso, avvolto nel silenzio più assoluto, è stupefacente e può generare vertigini ad occhi poco abituati alla meraviglia della forza della natura. Le montagne che restano in piedi a discapito dei tempi, canaloni che discendono i pendii scavati dall’azione erosiva dell’acqua nel corso di centinaia di migliaia di anni, e poi ancora rocce dalle forme più strane, vegetazione ancora viva nonostante l’aumento delle temperature degli ultimi vent’anni che qui si mostra in tutto il suo orrore.

La montagna è una cosa seria, un atlante storico in cui ritrovare le differenze del tempo e della sua azione su questa Terra.

Ci fermiamo all’incirca verso le 12.30 del mattino, dopo aver percorso già una 10 di km su sentieri e fuori pista. Lo spirito che ci contraddistingue e l’animo che dà motivo alle nostre avventura è un’bisogno di condividere esperienze lontane dalla confort zone. Misurarsi con la natura e le sue forze, sacrificarsi per un pendio da prendere “di petto”, oltrepassare l’ostacolo con le proprie gambe e la propria testa ci aiuta a “succhiare tutto il midollo della vita” come insegna il filosofo e scrittore naturalista americano dell’800, Henry David Thoreau.

Dalle sacche escono salsicce essiccate locali e formaggi stagionati, pane cafone delle nostre terre e del rosso da bere per risciacquare lo stomaco. È questo il dark side di Hikers Adventures!

Proprio durante il pasto, poi, continuano a farsi insistenti i bramiti lontani di cervi in amore. Li vediamo in lontananza, comodi al sole su un crinale situato proprio dinanzi a noi, e sotto l’anfiteatro roccioso del massiccio del Meta e della sua catena. Saranno circa un centinaio. Si rincorrono, scappano, si spostano da una parte all’altra come mandria impazzita, ma sempre alla portata del nostro occhio che non riesce più a distoglierne l’attenzione. Infatti, è solo quando spariscono alle spalle del crinale che rimettiamo in spalla gli zaini e proseguiamo seguendo il nostro sentiero.

Qui inizia la fase di rientro del nostro hike. Riprendiamo infatti il sentiero k5 del Pnalm che prosegue lungo il fianco del Serrone, sopra il canalone scavato dal Rio Torto che va ad immergersi nel Lago della Montagna Spaccata, uno dei numerosi bacini idrici artificiali sfruttati come dighe idroelettriche di questa zona. Come lo è per Barrea, Castel San Vincenzo, Cardito.

Tornando all’interno del bosco veniamo travolti dal suono sordo dei bramiti che fanno eco tra i faggi, rendendo complesso comprenderne la direzione di provenienza. Che magico mondo è il bosco, così ricco di biodiversità da esser molto più vivo di una metropoli in fermento.

Il sentiero riabbraccia la direttrice di salita del k5 e continua la sua discesa all’interno della faggeta per circa un’ora e mezza, concedendo di tanto in tanto affacci panoramici da togliere il fiato e spazi aperti da capogiro.

Arrivati alla macchina nuovamente, abbiamo sentito d’aver ritrovato lo spirito puro dell’avventura, dove gli oltre 20 km di anello percorso sono stati solo parte degli elementi che hanno dato valore alla giornata.

Finalmente la stagione estiva ha lasciato il posto a quella autunnale e ai suoi colori, al petracore, al suono degli scarponi sulle rocce bagnate dalla pioggia, e al richiamo selvaggio di una natura, lasciata ora libera dal turismo estivo che ne abusa, deteriora e cancella ogni attimo di vera libertà.

Finalmente siamo tornati!

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