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Erano circa le 17 quando con la macchina arrivammo sulla statale che costeggia le rive del Lago Matese, uno dei laghi di natura carsica più in quota in Italia (situato a circa 1014 metri s.l.m.). Lo costeggiamo tutto sino alla chiesetta di San Michele, mentre il sole iniziava a calare ricordandoci di far in fretta per non arrivare al rifugio dell’Esule con il buio della notte.

Come ogni volta parcheggiammo l’auto proprio dinanzi la chiesetta, e da lì iniziammo la nostra avventura nel Parco Regionale del Matese, tra la Campania ed il Molise. Secondo i nostri progetti, quella sera avremmo pernottato al rifugio in quota nell’omonima valle, per puntare, l’indomani, alla vetta del monte La Gallinola (1923m s.l.m.), e così fu. Non senza fatiche superammo il primo ostacolo nel giro di un’ora e poco più, attraversando il vallone San Massimo, prima su terreno sassoso e poi nel bosco, conquistando i primi400 metri di dislivello in salita. Sbucammo così, dopo aver seguito il sentiero 13D al rifugio situato nell’altra Valle dell’Esule (1430 m s.l.m.). Un bivacco molto modesto, costruito con mura in pietra e senza vetri alle finestre. L’accesso al rifugio, recintato con del filo di ferro per impedire alle tante vacche e ai tanti cavalli allo stato brado, di distruggere la casetta che ci avrebbe ospitato quella notte. Scoprimmo, non senza meraviglia, che quell’oasi aveva ospitato, prima di noi, altrettanti viaggiatori.

All’interno del rifugio due tavole in legna ed una stufa a legna in ghisa. Immediatamente iniziammo a raccogliere la legna per accendere il fuoco di campo che ci avrebbe scaldato in quella notte che appariva cupa e tetra per via del maltempo – da premettere l’intento di fare fotografia notturna nel nostro hike – e che invece dopo cena regalò il meglio di sé. Acceso il fuoco e tappezzate le finestre con giacche a vento e kway cucinammo velocemente una ciambotta di fagioli, accompagnata dalle immancabili salsicce con i friarielli tanto care ai nostri spiriti. Dopo un vino rosso ed un amaro ci affacciammo al cielo e, armati di macchine fotografiche, piazzammo i cavalletti pronti a regalarci ricordi eterni in formato jpeg di stelle disegnate su un cielo blu profondo come quella valle abitata anche da noi quella sera.

Il bivacco, scaldato dalla brace nella stufa, era il meglio che potessimo sperare e le tavole dove cenammo si mostrarono come la soluzione perfetta dove riposare, rinchiusi nei nostri sacchi a pelo.

Il mattino seguente, il sole si intrufolo tra le giacche a vento appese alle finestre aperte, e lo scampanellare delle vacche ci richiamò all’opera. In poco tempo facemmo colazione con the caldo e biscotti, richiudemmo gli zaini e ripartimmo lungo il sentiero, lasciandoci sempre più lontano il rifugio, ora sotto i nostri piedi già di un centinaio di metri. Da qui partì la lunga traversata lungo il versante del Monte Crocetta, tra paesaggi stupendi su tutta la catena del Matese, fino al Molise da un lato, e al Golfo di Napoli dall’altro. Aggirato poi il Monte Crocetta ci ritrovammo a scendere lungo una valle alle pendici del Monte la Gallinola, tra i pascoli di cavalli allo stato brado. Senza avvertire lo scorrere veloce del tempo, passammo qualche ora in compagnia di stupendi mustang, passeggiando tra loro in una atmosfera surreale.

Col passare delle ore però, il tempo mutò velocemente e una coltre di nuvole dense ci avvolse come appena rimettemmo gli zaini in spalla. La visibilità era ridotta ai minimi termini e non si riusciva a buttare l’occhio oltre i dieci metri dalla punta del nostro naso, così avanzammo lenti risalendo gli ultimi duecento metri di dislivello, attraversando tutta la Gallinola in direzione sud-ovest/nord-est (scoprimmo poi riscendendo dalla vetta che il sentiero fatto all’andata era il più lungo e scosceso per via del terreno roccioso lungo il percorso). Verso le 13 arrivammo in un piccolo pianoro e fummo costretti a fermarci per far diradare le nubi e riavere la strada nuovamente aperta davanti. I morsi della fame ci divorarono e così ingannammo l’attesa con qualche tarallo accompagnato dalla caciotta affumicata comprata giù in paese.

Dopo circa mezz’ora fu come se quelle nubi non ci fossero mai state, ed un raggio di sole scaldò l’aria illuminando nuovamente il sentiero che prendemmo senza perdere ulteriore tempo. Conquistammo così gli ultimi cinquanta metri di dislivello, arrivando finalmente in vetta, avvolti ancora una volta dalla nebbia e dalle nuvole che a tratti sparivano e poi tornavano, offrendo come flash, immagini del panorama che rischiavamo di perderci. Consumammo la parte restante del pranzo prima che il cielo si aprisse definitivamente, lasciando ora vedere in tutta la sua mole il Monte Miletto, cima più alta dell’Appennino matesino (2050 m s.l.m.). Per tutto il trekking in salita a La Gallinola non si era mai mostrato per via dell’aria densa di nubi, ma ora era lì a ricordarci di dover spostare sempre un po’ più in là l’asticella della sfida con noi stessi.
In mezzo ad una mandria di cavalli al pascolo sulla vetta decidemmo che era il momento di salutare la montagna e iniziare a riscendere a valle. Seguimmo le tracce del sentiero mancato in salita e fummo entrambi d’accordo nell’esserci scampati una salita ben più in pendenza. Lentamente avanzavamo verso le pendici de La Gallinola quando in un attimo si sentì il rumore d’ali di un’aquila che a non più di dieci metri da noi prese il volo lungo la valle con tutta la sua maestosità. Le emozioni vanno vissute, raccontarle non sarà mai sufficiente.

In un paio d’ore fummo nuovamente al Rifugio dell’Esule, e senza neanche accorgercene eravamo già in auto tornando verso casa, in silenzio, ad ascoltare i pensieri di una nuova avventura.

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