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Monte la Meta

Ritrovarsi qui è sempre una sfida. E quella appena trascorsa è stata una sfida contro il tempo. Una giornata da ricordare per l’esser scampati ad un temporale, sopra i duemila, che sapevamo sarebbe arrivato nell’ora più calda. Tipico per questo clima di inizio estate, e caratterizzato da maledettissime scariche violente. Ma andiamo con ordine.
La mattina, alle prime luci del sole, ci sentimmo telefonicamente per confrontarci sulle condizioni del meteo. Il cielo era pulito, libero da nuvole minacciose e già luminoso. Questo diede impulso alla partenza, e così in poco ci mettemmo in marcia per recuperare Giusy e dirigerci a Prati di Mezzo.
Come buona abitudine accumulammo ritardo per strada, e man mano che ci avvicinavamo al punto di partenza del percorso, che risale il versante laziale della catena, si alimentava in noi la convinzione di dover spingere il passo se avessimo voluto superare asciutti la giornata.
Una convinzione data dall’avvicinarsi rapido di nuvoloni scuri portati dal vento. Lo stesso che però si manteneva costante così da rallentare la morsa nel cielo elettrico.
Posammo l’auto e subito ci incamminammo sul sentiero che stacca alle spalle del rifugio. Attraversammo una serie di tornanti nel bosco per prender quota, e ritrovarci poi in un ampio vallone. Da qui proseguimmo alla nostra destra, risalendo i pratoni a lungo, fino a raggiungere il tronco morto di un albero secolare che non ha retto il tempo.
Da lì proseguimmo seguendo la linea tracciata dagli omini di pietra, attraversando così l’ultima parte di bosco prima di ritrovarci sulla luna. Davanti ai nostri occhi non c’era ormai che roccia da attraversare, mentre una coltre di nubi ci avvolgeva quasi. Con passo deciso le passammo oltre, mentre ormai la salita andava crescendo tra pratoni e roccia bianca che rifletteva i colori di quella giornata pallida. Il Passo dei Monaci aprì l’orizzonte vasto di quel gruppo montuoso che domina su entrambi i fronti. Restammo qualche minuto senza parole. Poi riprendemmo, ma qui il nostro stupore e la nostra voglia di vivere quegli attimi di silenzio che solo il vento può rompere, fu distrutto dal vociare becero di gruppi e comitive che si incamminavano verso la vetta. Ormai la montagna è business, e la piovra delle partite Iva allunga i suoi tentacoli fin qui. Ed è a causa di ciò che troviamo oggi persone in sneakers sui sentieri, a scalciar sassi o a sproloquiare più del dovuto, rimarcando la loro incompatibilità con l’ecosistema.
Non potevamo aspettare oltre. Il tempo limite era ormai scaduto e ci saremmo dovuti già trovare al rifugio a quell’ora. Ne approfittammo per un ultimo scatto fotografico e iniziammo la veloce discesa verso il Passo dei Monaci. Qui iniziarono le prime gocce, così fummo costretti ad accelerare, mantenendo sempre la giusta distanza di passo.
Fummo giù in appena un’ora, e giusto in tempo, prima che la pioggia ci potesse travolgere definitivamente. Avemmo così l’occasione di sederci al rifugio e goderci il pranzo, mentre il cielo si elettrizzava.

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