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Monti del Matese. L’Isola che non c’è

Ad un anno esatto dall’arrivo del Covid tra le nostre vite, ciò che più ci ha sicuramente segnato è stata la limitazione agli spostamenti e ai contatti. Per chi vive di condivisione, di passione per l’avventura e per l’emozione del fuoco, questa distanza ci resta attaccata addosso e, come una cicatrice, chissà quando sparirà. L’arrivo poi della suddivisione del paese in fasce di rischio, e l’impossibilità di muoversi al di là dei confini regionali, ci ha costretti a placare quella sete di partenza zaino in spalla, ma allo stesso tempo ci ha offerto la possibilità di riscoprire la nostra terra e i Monti del Matese. Splendide forme che ci legano alle nostre radici primordiali, dove il trekking e l’esplorazione hanno assunto i contorni delle grandi avventure, stimolando la fantasia sin da bambini.

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Cima di Pesco Lombardo, a meno di 48 ore dalla Grande Nevicata che in quel weekend imbiancò tutto il Parco del Matese.

La quantità di chilometri percorsi tra i boschi e le quote più alte.

Non è possibile misurare quanto percorso a piedi in tre mesi di inverno sui pendii del Matese. E lo ammetto, non lo è perché la neve genera euforia immotivata che ti porta indietro nel tempo e facendoti tornare negli anni più belli. Azzera le preoccupazioni, cancella i tormenti e ti fa sudare e ridere di gusto. Da est ad ovest abbiamo camminato insieme – pur mantenendo le giuste distanze – respirando un’aria diversa, pulita, fresca, che è quasi un miraggio oggi, nelle città, nascosti sotto le mascherine. Il trekking non ha rappresentato solo la forma più pura per attraversare i Monti del Matese, ma è stato lo strumento per tornare a sentirci uniti e parte di una comunità che non aspetta di poter tornare alla normalità di una tenda e di un fuoco di campo.

Dal Miletto al Mutria, tra laghi, fiumi e canali ghiacciati.

Da ogni prospettiva lo si guardi, il Matese riesce ad offrire sempre spunti di riflessione, tra una bellezza naturale lasciata quasi intatta e il declino subito da una pessima gestione, incapace di preservare bellezza e ricchezza. L’inverno di quest’anno, pur continuando a mantenere temperature eccessive, non ha mancato di regalarci momenti di bianco totale; capitò a febbraio sul Miletto, dove restammo bloccati a lungo su un traverso in attesa che la coltre bianca si allontanasse. Accadde nei pianori carsici alla base del Pastonico, dove la nevicata fu tanto abbondante da rendere inutili le stesse ciaspole. E fu bianco totale anche nelle splendide giornate di sole, risalendo la Gallinola da ogni versante per quanto bella e sfiancante.

Occorre sentirsi parte degli elementi che compongono l’armonia della natura per apprezzare maggiormente il proprio posto nel mondo, ed è stata questa prospettiva a lasciare il segno più grande. I Monti del Matese sono ciò che siamo e ciò che siamo determina quanta strada abbiamo ancora da percorrere per contribuire alla salvaguardia del parco. Con rammarico infatti, nonostante la copertura della tanta neve caduta, appaiono ancora troppe scorie del nostro passaggio che impoveriscono l’intero Matese. Basti pensare agli effetti del lockdown che favorirono i passaggi antropici di tanti animali (come documentato  dal Gruppo di Fototrappolaggio Naturalistico del Matese). La risorsa più grande per il parco del Matese è dunque la prospettiva che si perseguirà per ricreare la giusta armonia tra gli elementi. Siamo oggi più che mai di passaggio, e lungo i nostri cammini non dovremmo lasciare alcuna impronta.

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