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Ad attenderci un paesaggio completamente innevato. Davanti a noi il Miletto, in tutta la sua bellezza. Il percorso che avevamo scelta era ben esposto, con la cima sempre in vista, e con gli appena 600 metri di dislivello resi suggestivi a causa delle abbondanti nevicate dei giorni scorsi. Dal parcheggio si riuscivano a scorgere, nella giornata limpida che avevamo scelto, le croci di vetta gelate dal vento.

Iniziammo il lungo percorso fino ai piedi di una fascia di faggi a poche decine di metri da noi, che superammo con passo deciso per poi ritrovarci in una radura bianca completamente isolata. Le grandi pareti dell’anfiteatro carsico, sottostante la cima, davano un senso dolomitico al paesaggio, rendendolo austero e ruvido.

Nelle zone d’ombra, in alcuni tratti, lo strato di ghiaccio superficiale si presentava duro, vetrato, mentre al sole, quella stessa neve soffriva l’azione termica del sole che già scioglieva tutto, rendendo complessa l’andatura.

La Natura è un universo affascinante, la cui bellezza può attraversare il tempo e lo spazio, e nella sua esplorazione c’è la ricerca del proprio io, complessa e senza vincoli o barriere.

Il vento scendeva contro di noi lungo la pista innevata, scaricando neve gelata che ci costringeva a procedere a capo chino. Il bosco intorno a noi diventava rado. Eravamo intorno ai 1600 metri e piccoli vortici di neve si innescavano a causa del forte vento.

Risalendo quota, gli ultimi faggi sembravano sopravvissuti ad un’era glaciale, rendendoli simili a cristalli di ghiaccio.

Continuavamo a salire verso l’ormai andato rifugio Del Caprio per concederci una piccola sosta prima della cresta finale, dalla quale saremmo arrivati in cima al Miletto. Ad attenderci però c’era ancora un lungo tratto di pista da superare, circondata da dolci rilievi innevati ad est e il grande anfiteatro a nordovest.

Se non fosse per i segni di antropizzazione e abbandono, questo immenso ambiente montano avrebbe ben pochi rivali che godono di tanta bellezza.

Alle nostre spalle, ormai lontano, spuntava invece il piccolo agglomerato di Campitello, simbolo di un’epoca florida ormai appassita.

La neve iniziava a cedere maggiormente in quota, sul solo ancora non entrato nella stagione invernale, costringendoci a passi sempre più pesanti. In quella piccola difficoltà, immersi negli spazi ampi che ci mostravano il senso della nostra misura nel mondo, riuscivamo a sentirci leggeri e distanti dalle noie della quotidianità.

Svalicammo l’ultimo tornante della pista riuscendo finalmente a vedere il rifugio, distante non più di 800 metri da noi.

Due scialpinisti ci superarono in quell’istante, e notai come il ritmo del loro andare dava senso e misura a quel momento.

Arrivammo al Del Caprio per una sosta veloce e un affaccio sul versante sud, dal quale numerose volte eravamo già saliti. Seguimmo poi per un po’ con lo sguardo un gruppo di altri scialpinisti in risaliti lungo la cresta che avremmo preso, da lì a breve, anche noi.

Poco dopo toccò a noi riprendere il cammino verso l’ultima spinta che ci separava dalla vetta del Miletto.

Imboccammo così la via di roccette gelate a terra, a passo lento, voltandoci di volta in volta per poter lanciare lo sguardo a perdita d’occhio su tutto il Matese.

La risalita lungo la cresta finale si faceva interessante, e ci costringeva a spingere un po’ di più sulle gambe. Antonio era già lanciato verso la vetta, così decisi di prendermi un momento per osservare lo spazio intorno a me e fare alcuni scatti fotografici al paesaggio.

Quando infine fui vicino alla vetta, lungo gli ultimi 50 metri di risalita, riuscii a scorgere ben definite le croci di vetta. Erano completamente gelate, e sagomate come lame dalla forza del vento che continuava a soffiare veloce lassù.

Svalicato il confine sommitale si aprii alla vista la lunga catena montuosa abruzzese che dalle Mainarde si spinge verso la Majella, e poi via lontana verso il Velino ed il Gran Sasso. Centinaia e centinaia di chilometri di parchi naturali dove esplode la grande bellezza appenninica, tra montagne, laghi, fiumi e boschi di faggi e querce a perdita d’occhio.

Infine ci fu la vetta, gelida più di tutto il percorso fatto e bella quanto l’apertura panoramica che si apriva a noi, dalla Costiera all’Adriatico.

Ci prendemmo qualche attimo per osservare il tutto nel silenzio di quelle quote, smosse solo dal vento.

Poi fu solo tempo di scendere. Un fronte nuvoloso era in arrivo da sud e non potevamo più aspettare. Ci rimettemmo così sui nostri passi con il cuore gonfio di gioia per aver finalmente rotto il ghiaccio con la nuova stagione in arrivo.

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