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Due giorni immersi nella piana di Campo Imperatore, tra esplorazione di magnifici paesaggi sopra i duemila e il concatenamento della cresta che collega i monti Siella, Tremoggia e Camicia.

Arriviamo a Campo Imperatore verso le 15.30 dopo esser partiti con molta calma la mattina di sabato scorso. Fu un viaggio piuttosto tranquillo caratterizzato come sempre dai racconti delle esperienze passate condivise e da vivere ancora. Il caldo estivo ha raggiunto già i suoi picchi, tanto da rendere quella giornata al pari di una di pieno agosto, tuttavia lo spettacolo del piccolo Tibet italiano ci dà le stesse energie per affrontare il pomeriggio. Un pomeriggio caratterizzato dal via vai continuo di gruppi di motociclisti e auto intente a trascorrere la serata tra l’Hotel di Campo Imperatore e l’area ristoro Mucciante, sotto un cielo di stelle scaldato dalla luce della luna crescente.

La sera, individuata una zolla di terreno libera ci prepariamo una cena abbondante fatta di risotti e tortelli in brodo, un paio di bottiglie di rosso buono e un tagliere carico di salsiccia e formaggi presi a Fonte Cerreto, poco prima di raggiungere Campo Imperatore. La serata passa tranquilla, secondo il rituale mistico del vino e dei salumi che prepara ogni partenza per i lunghi trek. Fumata l’ultima sigaretta attendiamo che la notte passi.

L’indomani, alle 5.30 con i primi raggi di sole e dopo l’appuntamento con un caffè caldo, preparati gli zaini per la nuova tappa che ci avrebbe atteso, ci mettiamo in cammino risalendo il sentiero che immediatamente punta verso il passo tra il Tremoggia ed il Siella. Una risalita lenta, che permette di guadagnare subito i primi 300 metri di dislivello, affacciandosi di continuo sulla piana, offrendo spunti fotografici a ripetizione. Risaliti in cresta e toccata la cima del Siella con un rapido passaggio, proseguiamo il lungo sentiero che risale il versante orientale del Tremoggia, lungo un pendio che separa il teramano dalla provincia de L’Aquila. Un pendio di ghiaia e roccia frantumata dall’erosione e dal tempo che complica il passo e spezza il respiro, dove l’aria si fa più sottile, tra le quote dove volano i falchi.

In cima al Tremoggia ci fermiamo, dimenticandoci del tempo, per vivere tutta d’un fiato l’emozione di quel paesaggio che si apriva ai nostri occhi. Un insieme di colori e forme che si plasmano con lo spazio e l’ambiente selvaggio del primo mattino che intanto veniva coperto da una coltre fitta di nubi. Dal giorno precedente sapevamo di poterla incontrare lungo il sentiero e così accadde, sempre puntuale, alimentando la spinta dei passi per accelerare il ritmo e iniziare l’ascesa verso l’ultimo dislivello che ci separa dalla cima e dalle balconate del Monte Camicia. Attraversandole si avverte l’azione del tempo, il suo ciclo vitale che cresce e si consuma per poi tramutare in altra forma. L’energia della montagna è anche questa, viva e carica di elettricità.

La risalita verso la cima del Camicia suggella la perfezione di una giornata mai sporcata da imprevisti o problemi di qualsiasi natura, e offre numerosi spunti su cui riflettere. Dal nostro rapporto con l’ambiente al modo di approcciare ad esso, tra rispetto ed essenzialità, per vivere a pieno l’avventura.

Scendiamo così, accompagnati dalla perturbazione che da lì a qualche ora avrebbe coperto l’intera piana di Campo Imperatore, discendendo il ripido Vallone Vradda, tra sfasci di roccia e il traffico dei turisti della domenica.

Giunti alla macchina nuovamente ne approfittiamo per mangiare l’ultimo pasto in quota di questa due giorni a cavallo del Parco del Gran Sasso, per poi tornare a casa, con la solita malinconia che ci portiamo dietro ogni volta che un’avventura si conclude, in attesa della prossima.

In cima al Tremoggia ci fermiamo, dimenticandoci del tempo, per vivere tutta d’un fiato l’emozione di quel paesaggio che si apriva ai nostri occhi. Un insieme di colori e forme che si plasmano con lo spazio e l’ambiente selvaggio del primo mattino che intanto veniva coperto da una coltre fitta di nubi. Dal giorno precedente sapevamo di poterla incontrare lungo il sentiero e così accadde, sempre puntuale, alimentando la spinta dei passi per accelerare il ritmo e iniziare l’ascesa verso l’ultimo dislivello che ci separa dalla cima e dalle balconate del Monte Camicia. Attraversandole si avverte l’azione del tempo, il suo ciclo vitale che cresce e si consuma per poi tramutare in altra forma. L’energia della montagna è anche questa, viva e carica di elettricità.

La risalita verso la cima del Camicia suggella la perfezione di una giornata mai sporcata da imprevisti o problemi di qualsiasi natura, e offre numerosi spunti su cui riflettere. Dal nostro rapporto con l’ambiente al modo di approcciare ad esso, tra rispetto ed essenzialità, per vivere a pieno l’avventura.

Scendiamo così, accompagnati dalla perturbazione che da lì a qualche ora avrebbe coperto l’intera piana di Campo Imperatore, discendendo il ripido Vallone Vradda, tra sfasci di roccia e il traffico dei turisti della domenica.

Giunti alla macchina nuovamente ne approfittiamo per mangiare l’ultimo pasto in quota di questa due giorni a cavallo del Parco del Gran Sasso, per poi tornare a casa, con la solita malinconia che ci portiamo dietro ogni volta che un’avventura si conclude, in attesa della prossima.

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